L’inflazione è l’aumento generale
del livello dei prezzi, il suo contrario, cioè la diminuzione generale dei
prezzi si chiama deflazione.
Milton Friedman sosteneva: ” Inflation is
always and everywhere a monetary phenomenon in the sense that it cannot occur
without a more rapid increase in the quantity of money than in output.”
Dunque l’inflazione, secondo M. Friedman, è sempre e comunque un fenomeno monetario che non si verificherebbe
mai senza un rapido incremento della massa monetaria in circolazione.
Secondo la Teoria Quantitativa della
Moneta (TQM) quindi, se la banca centrale stampa troppa moneta questa offerta
può superare il corrispettivo valore dei beni reali da essa rappresentati.
In tal caso i prezzi saliranno, cioè
avremo inflazione.
La base teorica di questa
affermazione è una particolare interpretazione della seguente identità, detta equazione degli scambi di Fisher:
M×V = P×T
Dove M è la quantità di moneta, V
è la velocità di circolazione (numero di volte in cui la stessa moneta viene
scambiata nell’unità di tempo considerata, generalmente in un anno), P è il livello generale dei prezzi (la
cui variazione si chiama inflazione) e infine T è il numero di transazioni (scambi). Assumendo per semplicità espositiva
che l'economia produca un solo tipo di bene, possiamo sostituire T con Q (numero dei singoli beni scambiati),
ottenendo:
M×V = P×Q
Il problema è che questa equazione
è un'identità contabile, vera per definizione, in effetti essa afferma semplicemente
che la spesa totale in termini monetari (M×V) è uguale al valore monetario dei
beni scambiati (P×Q).
Nonostante Friedman ci provi a forzarne un'interpretazione (spiegheremo
il perché della sua tesi), l’identità nulla ci dice circa la relazione causale
(“causa-effetto”) tra quantità di moneta e livello generale dei prezzi.
Per verificare le conclusioni di
Friedman dovremmo osservare negli anni le loro variazioni ed individuare un loro
eventuale correlazione, cioè intendendo con essa una relazione tra le due
variabili (M e P) tale che a ciascun valore della prima variabile corrisponda
con una "certa regolarità" un valore della seconda (se c’è
correlazione non necessariamente si ottiene un rapporto di causa-effetto, ma anche
solo semplicemente si individua una dipendenza o una interdipendenza tra loro).
Osserviamo i seguenti grafici che
ci illustrano, in funzione del tempo (variazioni annuali), come sono variate le
variabili M e P negli USA e in Europa, cercando delle similitudini nelle loro
rispettive variazioni:
Non si riesce a
scorgere nessuna correlazione tra M e P.
(Vedremo,
tuttavia, che tale correlazione esiste nel lungo periodo, con variazioni medie
decennali, ma in modo meno banale e soprattutto con una catena causale opposta
a quella presunta dalla TQM).
Se l’identità
di Fisher è sempre vera e non c’è correlazione (nelle variazioni annuali) tra
le variabili M e P, la logica suggerisce che la capacità produttiva Q e la velocità V, e non l’offerta di moneta
M, hanno un maggiore impatto sui prezzi.
Proviamo a
questo punto a mettere in relazione i prezzi con le grandezze caratterizzanti l’aspetto
produttivo di un’economia.
Definiamo pertanto
W come la somma di tutti i salari
dei lavoratori e U quella di tutti i
profitti, possiamo scrivere, a partire dalla definizione di PIL e dopo qualche
passaggio matematico, che il livello generale dei prezzi P è:
P
= W/Q + U/Q
Dove W/Q è il
famoso costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP) e U/Q è il profitto per
unità di prodotto.
Considerando che
le imprese cercheranno di mantenere il
più possibile stabile il profitto unitario
di fronte all'aumento dei costi, dovremmo vedere che le variazioni del costo del
lavoro per unità di prodotto e le variazioni dei prezzi seguono un andamento
simile anche nel breve periodo.
Costo del
lavoro per unità di prodotto [blu] – Inflazione [rosso], Italia. Dati Istat,
grafico di Sebastiano Marino
Unit Labor
Cost [blu], Inflazione [rosso], Stati Uniti
Si può osservare una correlazione
positiva evidente tra CLUP (o ULC) e inflazione, dunque la variazione dei costi
di produzione può essere considerata, con una certa confidenza, una delle cause
della variazione dell’inflazione.
Nel ciclo industriale si
evidenzia un’ulteriore fase che è quella nella quale le imprese, per poter
finanziare gli investimenti relativi all’incremento della propria capacità
industriale, richiedono prestiti a banche private (o, in misura decisamente minore,
accedono a finanziamenti pubblici), contribuendo a formare quella che normalmente
viene identificata come domanda di moneta.
La domanda di moneta, sensibile
al tasso d'interesse, diminuirà o aumenterà in funzione di questo, dando quindi
una certa efficacia alle politiche monetarie. A questo punto la banca centrale
stamperà quanto effettivamente necessario a rispondere alla domanda di moneta
legale, che sarà una frazione della moneta totale.
Secondo la teoria della moneta
endogena la Banca Centrale (BC) non è in grado di controllare la quantità di
moneta in circolazione, al contrario di quanto sostiene la TQM, e tuttavia la
BC deve essere sempre pronta a fornire liquidità in moneta legale necessaria,
pena l’insolvenza del sistema finanziario.
In ogni momento però è il
rapporto tra le banche private e chi richiede prestiti a determinare la
quantità di moneta nel sistema economico.
Possiamo affermare, con un buon
grado di confidenza, che sono i prestiti a creare i depositi e i depositi creano
le riserve in moneta legale (rivedi il post su TARGET2).
L’influenza della BC sull’economia
si realizza fissando il tasso di interesse, al quale essa deve poi armonizzare
la richiesta di moneta legale da parte del sistema economico.
Vediamo come si relazionano i
prestiti bancari e l’aggregato monetario (massa monetaria).
Il grafico mostra come la variazione
massa monetaria in circolazione sia una risposta successiva e concorde, in
ordine temporale, alla richiesta di prestiti da parte del settore privato.
Gli andamenti sono molti simili e
ravvicinati a parte l’anomalia tra il 2001 e il 2003 che è spiegata dalla BCE
come un’elevata preferenza per le attività liquide da parte degli operatori
(che comunque è anch’essa un fenomeno riguardante la domanda e non l’offerta
della moneta).
Possiamo ora quindi avanzare
l’ipotesi opposta a quella della TQM: la
massa monetaria non dipende dall’offerta di moneta “esogena”, sotto il
controllo della banca centrale, ma dalla domanda “endogena” di moneta da parte
dell’economia e dalla “propensione al prestito” (o meglio propensione al
rischio) delle banche.
Se così è, allora un’eventuale crescita dell’offerta di
moneta da parte delle banche centrali (base monetaria) che vada oltre la
domanda da parte dell’economia, ad esempio attraverso i cosiddetti “Quantitative
Easing” (QE: l’acquisto di grandi quantità di titoli da parte delle BC in
cambio di nuovo denaro), non causa né un
sensibile aumento della quantità complessiva di moneta né un corrispettivo
aumento dell’inflazione.
Tornando all’identità M×V=P×Q
abbiamo quindi affermato che il livello dei prezzi P (insieme alla crescita del
“PIL reale” cioè Q) guida la quantità di moneta M.
Tuttavia riusciamo ancora a
trovare una relazione tra le due grandezze, ma solo nel medio-lungo periodo,
vale a dire quando gli effetti cumulati delle variazioni dei prezzi, insieme
alle variazioni di Q e alle oscillazioni di V (velocità degli scambi), si
ripercuoteranno sulla domanda di moneta e di conseguenza sulle masse monetarie.
Difatti, se costruiamo il grafico
sulle variazioni delle due variabili misurate sul lungo periodo (10 anni),
ritroveremo (approssimativamente) la correlazione perduta ma, come abbiamo
visto, con nessi causali invertiti rispetto alla TQM, cioè non è l’incremento di massa monetaria a generare inflazione ma sono l’inflazione
e la crescita ad innalzare la quantità di massa monetaria circolante secondo
dinamiche (endogene) di domanda e offerta.
Ricapitoliamo i nessi di
causalità tra inflazione e moneta:
1) Se
c’è crescente domanda di beni, l’offerta risponde incrementando la capacità
produttiva.
2) L’incremento
di capacità produttiva causa un aumento di richiesta di capitale privato e un
incremento dei costi dei fattori produttivi.
3) Per
lasciare inalterati o incrementare i profitti le imprese alzano i prezzi
generando inflazione.
4) L’aumento
dei prestiti aumenta la quantità di moneta M e crea i depositi secondo la
regola del divisore.
5) L’aumento
di M rende necessario l’aumento della moneta legale emessa dalle BC (riserve + moneta
cartacea) che sarà a sua volta una frazione della intera quantità di moneta del
sistema.
Qualche amara riflessione
Se è vero, come afferma
anche la BoE (Bank of England), quanto detto in questo post, perché Milton
Friedman ha interpretato l’identità di Fisher in termini completamente
monetaristici e privi di riscontro empirico?
E soprattutto perché l’articolo 3
– paragrafo 3 del TUE (trattato di Maastricht) oltre alla forte competitività
tra Stati impone la stabilità dei prezzi (bassa inflazione) come obiettivo?
La risposta, cari amici, è sempre
quella, il capitale vince, tutti perdono.
Ragioniamo su questi punti
secondo banale logica:
1) Milton
Friedman ha dato degli strumenti tecnici, anche se poco scientifici, ai detentori
di forti capitali. Era al loro servizio.
2) L’obiettivo
dei capitalisti è quello di favorire la mobilità del capitale in spazio,
qualità e quantità.
3) Un’inflazione
bassa garantisce il rientro dei capitali prestati allo stesso valore all’epoca
dell’erogazione del prestito.
4) Gli
Stati con Costituzione democratica, moneta sovrana e BC dipendente dal Tesoro sono un
freno alla libera circolazione di capitale poiché hanno facoltà di rispondere autonomamente
alla richiesta endogena di capitale, nella logica capitalista vanno limitati o,
ancora meglio, disattivati.
5) Si
professa la teoria (TQM) per cui la creazione di moneta è esogena ed il suo “abuso”in emissione crea
inflazione, spauracchio dei capitalisti che, dopo pushing mediatico
sfrenato, assurge a male assoluto anche per i lavoratori debitori a cui invece una
inflazione moderata farebbe anche bene. Quindi si impone la “stabilità dei prezzi”.
6) Si
innesta artificiosamente il concetto che le banche centrali devono essere
indipendenti, cioè slegate dalle necessità di uno Stato sovrano. Divorzio BC
dal Tesoro.
7) Adesione
ad una Unione tra Stati con fondamentali economici diversi e in forte competizione
per “Statuto” (TUE).
8) Assoggettamento
ai vincoli imposti dall’Ente sovranazionale.
9) Adesione
a una Unione Monetaria con perdita totale di sovranità monetaria.
10) Perdita
totale delle leve di politica economica.
11) Mercato in balìa del capitale, ormai libero, che agisce indisturbato, secondo la ratio della
massimizzazione dei profitti e delle rendite finanziarie, privo di qualsiasi vincolo.
12) Tutto
diventa merce, soprattutto il fattore lavoro e quindi, si deve “riformarlo” per
renderlo ancora più fruibile dal
mercato, riforme Hartz (Germania), riforma Fornero, Jobs Act di Renzi.
13) La
Costituzione diventa carta straccia.
BISOGNA riscrivere la storia almeno dal punto 6………….. altro che Tspiras, referendum su €, e surrogati vari.
Fonti
Inflazione e Moneta Endogena - www.keynesblog.com
A Non-Monetary Explanation for Inflaction - Matt Busigin