sabato 29 marzo 2014

DE INFLATIO ET MONETAE

L’inflazione è l’aumento generale del livello dei prezzi, il suo contrario, cioè la diminuzione generale dei prezzi si chiama deflazione.
Milton Friedman sosteneva: ” Inflation is always and everywhere a monetary phenomenon in the sense that it cannot occur without a more rapid increase in the quantity of money than in output.”
Dunque l’inflazione, secondo M. Friedman, è sempre e comunque un fenomeno monetario che non si verificherebbe mai senza un rapido incremento della massa monetaria in circolazione.
Secondo la Teoria Quantitativa della Moneta (TQM) quindi, se la banca centrale stampa troppa moneta questa offerta può superare il corrispettivo valore dei beni reali da essa rappresentati.
In tal caso i prezzi saliranno, cioè avremo inflazione.
La base teorica di questa affermazione è una particolare interpretazione della seguente identità, detta equazione degli scambi di Fisher:

M×V  = P×T

Dove M è la quantità di moneta, V è la velocità di circolazione (numero di volte in cui la stessa moneta viene scambiata nell’unità di tempo considerata, generalmente in un anno), P è il livello generale dei prezzi (la cui variazione si chiama inflazione) e infine T è il numero di transazioni (scambi). Assumendo per semplicità espositiva che l'economia produca un solo tipo di bene, possiamo sostituire T con Q (numero dei singoli beni scambiati), ottenendo:

M×V  = P×Q

Il problema è che questa equazione è un'identità contabile, vera per definizione, in effetti essa afferma semplicemente che la spesa totale in termini monetari (M×V) è uguale al valore monetario dei beni scambiati (P×Q).
Nonostante Friedman ci provi a forzarne un'interpretazione (spiegheremo il perché della sua tesi), l’identità nulla ci dice circa la relazione causale (“causa-effetto”) tra quantità di moneta e livello generale dei prezzi.
Per verificare le conclusioni di Friedman dovremmo osservare negli anni le loro variazioni ed individuare un loro eventuale correlazione, cioè intendendo con essa una relazione tra le due variabili (M e P) tale che a ciascun valore della prima variabile corrisponda con una "certa regolarità" un valore della seconda (se c’è correlazione non necessariamente si ottiene un rapporto di causa-effetto, ma anche solo semplicemente si individua una dipendenza o una interdipendenza tra loro).
Osserviamo i seguenti grafici che ci illustrano, in funzione del tempo (variazioni annuali), come sono variate le variabili M e P negli USA e in Europa, cercando delle similitudini nelle loro rispettive variazioni:




Non si riesce a scorgere nessuna correlazione tra M e P.
(Vedremo, tuttavia, che tale correlazione esiste nel lungo periodo, con variazioni medie decennali, ma in modo meno banale e soprattutto con una catena causale opposta a quella presunta dalla TQM).
Se l’identità di Fisher è sempre vera e non c’è correlazione (nelle variazioni annuali) tra le variabili M e P, la logica suggerisce che la capacità produttiva Q e la velocità V, e non l’offerta di moneta M, hanno un maggiore impatto sui prezzi.
Proviamo a questo punto a mettere in relazione i prezzi con le grandezze caratterizzanti l’aspetto produttivo di un’economia.
Definiamo pertanto W come la somma di tutti i salari dei lavoratori e U quella di tutti i profitti, possiamo scrivere, a partire dalla definizione di PIL e dopo qualche passaggio matematico, che il livello generale dei prezzi P è:

P  = W/Q + U/Q

Dove W/Q è il famoso costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP) e U/Q è il profitto per unità di prodotto.
Considerando che le imprese cercheranno  di mantenere il più  possibile stabile il profitto unitario di fronte all'aumento dei costi, dovremmo vedere che le variazioni del costo del lavoro per unità di prodotto e le variazioni dei prezzi seguono un andamento simile anche nel breve periodo.

Costo del lavoro per unità di prodotto [blu] – Inflazione [rosso], Italia. Dati Istat, grafico di Sebastiano Marino


Unit Labor Cost [blu], Inflazione [rosso], Stati Uniti

Si può osservare una correlazione positiva evidente tra CLUP (o ULC) e inflazione, dunque la variazione dei costi di produzione può essere considerata, con una certa confidenza, una delle cause della variazione dell’inflazione.
Nel ciclo industriale si evidenzia un’ulteriore fase che è quella nella quale le imprese, per poter finanziare gli investimenti relativi all’incremento della propria capacità industriale, richiedono prestiti a banche private (o, in misura decisamente minore, accedono a finanziamenti pubblici), contribuendo a formare quella che normalmente viene identificata come domanda di moneta.
La domanda di moneta, sensibile al tasso d'interesse, diminuirà o aumenterà in funzione di questo, dando quindi una certa efficacia alle politiche monetarie. A questo punto la banca centrale stamperà quanto effettivamente necessario a rispondere alla domanda di moneta legale, che sarà una frazione della moneta totale.

Secondo la teoria della moneta endogena la Banca Centrale (BC) non è in grado di controllare la quantità di moneta in circolazione, al contrario di quanto sostiene la TQM, e tuttavia la BC deve essere sempre pronta a fornire liquidità in moneta legale necessaria, pena l’insolvenza del sistema finanziario.
In ogni momento però è il rapporto tra le banche private e chi richiede prestiti a determinare la quantità di moneta nel sistema economico.

Possiamo affermare, con un buon grado di confidenza, che sono i prestiti a creare i depositi e i depositi creano le riserve in moneta legale (rivedi il post su TARGET2).
L’influenza della BC sull’economia si realizza fissando il tasso di interesse, al quale essa deve poi armonizzare la richiesta di moneta legale da parte del sistema economico.
Vediamo come si relazionano i prestiti bancari e l’aggregato monetario (massa monetaria).



Il grafico mostra come la variazione massa monetaria in circolazione sia una risposta successiva e concorde, in ordine temporale, alla richiesta di prestiti da parte del settore privato.
Gli andamenti sono molti simili e ravvicinati a parte l’anomalia tra il 2001 e il 2003 che è spiegata dalla BCE come un’elevata preferenza per le attività liquide da parte degli operatori (che comunque è anch’essa un fenomeno riguardante la domanda e non l’offerta della moneta).

Possiamo ora quindi avanzare l’ipotesi opposta a quella della TQM: la massa monetaria non dipende dall’offerta di moneta “esogena”, sotto il controllo della banca centrale, ma dalla domanda “endogena” di moneta da parte dell’economia e dalla “propensione al prestito” (o meglio propensione al rischio) delle banche.
Se così è, allora un’eventuale crescita dell’offerta di moneta da parte delle banche centrali (base monetaria) che vada oltre la domanda da parte dell’economia, ad esempio attraverso i cosiddetti “Quantitative Easing” (QE: l’acquisto di grandi quantità di titoli da parte delle BC in cambio di nuovo denaro), non causa né un sensibile aumento della quantità complessiva di moneta né un corrispettivo aumento dell’inflazione.

Tornando all’identità M×V=P×Q abbiamo quindi affermato che il livello dei prezzi P (insieme alla crescita del “PIL reale” cioè Q) guida la quantità di moneta M.
Tuttavia riusciamo ancora a trovare una relazione tra le due grandezze, ma solo nel medio-lungo periodo, vale a dire quando gli effetti cumulati delle variazioni dei prezzi, insieme alle variazioni di Q e alle oscillazioni di V (velocità degli scambi), si ripercuoteranno sulla domanda di moneta e di conseguenza sulle masse monetarie.
Difatti, se costruiamo il grafico sulle variazioni delle due variabili misurate sul lungo periodo (10 anni), ritroveremo (approssimativamente) la correlazione perduta ma, come abbiamo visto, con nessi causali invertiti rispetto alla TQM, cioè non è l’incremento di massa monetaria a generare inflazione ma sono l’inflazione e la crescita ad innalzare la quantità di massa monetaria circolante secondo dinamiche (endogene) di domanda e offerta.



Ricapitoliamo i nessi di causalità tra inflazione e moneta:
1)      Se c’è crescente domanda di beni, l’offerta risponde incrementando la capacità produttiva.
2)    L’incremento di capacità produttiva causa un aumento di richiesta di capitale privato e un incremento dei costi dei fattori produttivi.
3)      Per lasciare inalterati o incrementare i profitti le imprese alzano i prezzi generando inflazione.
4)      L’aumento dei prestiti aumenta la quantità di moneta M e crea i depositi secondo la regola del divisore.
5)   L’aumento di M rende necessario l’aumento della moneta legale emessa dalle BC (riserve + moneta cartacea) che sarà a sua volta una frazione della intera quantità di moneta del sistema.


Qualche amara riflessione
Se è vero, come afferma anche la BoE (Bank of England), quanto detto in questo post, perché Milton Friedman ha interpretato l’identità di Fisher in termini completamente monetaristici e privi di riscontro empirico?

E soprattutto perché l’articolo 3 – paragrafo 3 del TUE (trattato di Maastricht) oltre alla forte competitività tra Stati impone la stabilità dei prezzi (bassa inflazione) come obiettivo?

La risposta, cari amici, è sempre quella, il capitale vince, tutti perdono.

Ragioniamo su questi punti secondo banale logica:
1)      Milton Friedman ha dato degli strumenti tecnici, anche se poco scientifici, ai detentori di forti capitali. Era al loro servizio.
2)      L’obiettivo dei capitalisti è quello di favorire la mobilità del capitale in spazio, qualità e quantità.
3)    Un’inflazione bassa garantisce il rientro dei capitali prestati allo stesso valore all’epoca dell’erogazione del prestito.
4)  Gli Stati con Costituzione democratica, moneta sovrana e BC dipendente dal Tesoro sono un freno alla libera circolazione di capitale poiché hanno facoltà di rispondere autonomamente alla richiesta endogena di capitale, nella logica capitalista vanno limitati o, ancora meglio, disattivati.
5)      Si professa la teoria (TQM) per cui la creazione di moneta è esogena ed il suo “abuso”in emissione crea inflazione, spauracchio dei capitalisti che, dopo pushing mediatico sfrenato, assurge a male assoluto anche per i lavoratori debitori a cui invece una inflazione moderata farebbe anche bene. Quindi si impone la “stabilità dei prezzi”.
6)    Si innesta artificiosamente il concetto che le banche centrali devono essere indipendenti, cioè slegate dalle necessità di uno Stato sovrano. Divorzio BC dal Tesoro.
7)     Adesione ad una Unione tra Stati con fondamentali economici diversi e in forte competizione per “Statuto” (TUE).
8)      Assoggettamento ai vincoli imposti dall’Ente sovranazionale.
9)      Adesione a una Unione Monetaria con perdita totale di sovranità monetaria.
10)   Perdita totale delle leve di politica economica.
11)   Mercato in balìa del capitale, ormai libero, che agisce indisturbato, secondo la ratio della massimizzazione dei profitti e delle rendite finanziarie, privo di qualsiasi vincolo.
12) Tutto diventa merce, soprattutto il fattore lavoro e quindi, si deve “riformarlo” per renderlo ancora  più fruibile dal mercato, riforme Hartz (Germania), riforma Fornero, Jobs Act di Renzi.
13)   La Costituzione diventa carta straccia.

Infine, con l'obiettivo di una paventata migliore stabilità uno Stato Sovrano e Democratico aderisce alla UE, e  invece si scopre che il Trattato di Maastricht porta il seme della sua disgregazione (art. 3 par.3 TUE).

BISOGNA riscrivere la storia almeno dal punto 6………….. altro che Tspiras, referendum su €, e surrogati vari.



Fonti
Inflazione e Moneta Endogena - www.keynesblog.com
A Non-Monetary Explanation for Inflaction - Matt Busigin

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