Il Post che segue e’ un Post Fondamentale di Luciano Barra Caracciolo ripreso da http://scenarieconomici.it/. Come giustamente indicato da GPG di Scenari Economici si vuole sottolineare l’importanza del contenuto: in effetti è il clou di tutto ciò che va smascherato e che è alla base della distruzione strisciante della democrazia e del benessere italiani, documentata in infiniti articoli su http://scenarieconomici.it/ e anche su questo più modesto blog. Potete anche approfondire QUI. Buona Lettura.
Luciano Barra Caracciolo, già membro del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, eletto nella componente del Consiglio di Stato, tra l'altro autore del libro "Euro e (o?) democrazia costituzionale. La convivenza impossibile tra costituzione e trattati europei" (Dike Giuridica Editrice). Nel novembre 2012 ha aperto un suo personale blog http://orizzonte48.blogspot.it/ in cui tratta temi giuridici, economici, politici e sociali.
1) ORDOLIBERISMO
Per
parlare dell’ordoliberismo (o
“ordoliberalismo”:
la distinzione, fatta in italiano, deriva dalla non conoscenza della
lingua inglese, dove non esiste la parola liberism,
ma solo quella “liberalism”,
che indica indistintamente una dottrina economica e la sua
inscindibile ideologia politica) prendiamo spunto da questa citazione
di una frase di Giuliano Amato in un’intervista rilasciata in
inglese.
La
traduciamo così non ci sono equivoci: “Non
penso che sia una buona idea rimpiazzare questo metodo
lento ed efficace – che solleva gli Stati nazionali dall’ansia
mentre vengono privati del potere-
con grandi balzi istituzionali…Perciò preferisco andare
lentamente, frantumando i pezzi di sovranità poco a poco, evitando
brusche transizioni dal potere nazionale a quello federale. Questa è
il modo in cui ritengo che dovremo costruire le politiche comuni
europee...”.
“Ordoliberismo:
veste €uro-attuale del neo-liberismo che, imperniata sull’obiettivo
del lavoro-merce, prende atto dell’ostacolo delle Costituzioni
sociali contemporanee (fondate sul lavoro), ed agisce divenendo
“ordinamentale”, cioè impadronendosi delle istituzioni
democratiche per portarle gradualmente ad agire in senso invertito
rispetto alle previsioni costituzionali.”
Questa vicenda
di gradualità ne l’impossessamento delle istituzioni democratiche,
per invertirne la direzione di intervento, cioè per
portarle a tutelare e realizzare interessi di segno opposto a
quello per
cui vennero concepite dalle Costituzioni nate
dalla Resistenza
al nazifascismo,
ha avuto una fase operativa che ne ha consentito l’attuazione
tecnocratica, secondo una precisa ideologia
economica di tipo restaurativo, come fine ultimo.
2) LE RADICI RESTAURATRICI
Qui
una ricostruzione delle
radici restauratrici:
“…lo
stesso instaurarsi del consumismo di massa in sé, indicava
una via di reazione che
il sistema conteneva già in sé
e consentiva, quindi, un’evoluzione
adattativa che restaurasse il modello capitalista auspicato (quello
del famoso passaggio
di Kalecky).
E
questo nella coscienza che ciò potesse farsi con la dovuta
gradualità, per
attendere sia il consolidarsi della imminente vittoria
definitiva sul socialismo “reale”, che lo
sfaldamento della linea politico-elettorale caratterizzata da diversi
livelli di concessione sul fronte del welfare (che
pareva accomunare nella irreversibilità tutti i partiti in campo nei
paesi occidentali, nei limiti della funzionalità alla strategia di
sedazione dell’avanzata dei partiti comunisti).
Inutile
dire che era, specie in partiti come il Repubblicano USA, una
linea “rebus sic stantibus” e
tatticamente accettata obtorto
collo.
Lo stesso, poteva dirsi di settori della democrazia cristiana, come
dimostra la vicenda dell’evoluzione delle posizioni sulla banca
centrale da quella di Carli anni
’70 a quella di Andreatta-Ciampi, primi anni ’80)…”.
3) LA RIVINCITA
Ora
questa aspirazione alla restaurazione aveva già espresso,
in Europa, (cioè
nel contesto in cui sarebbe stato connaturato cercare di
applicarlo), un sistema
di pensiero economico-politico,
in sé compiuto.
Quest’ultimo
va identificato nella assoluta
contiguità –
storicamente attestata da prove inconfutabili (tanto che coloro che
si identificano in questa “scuola” non intendono confutarlo ma
semmai confermarlo) tra la scuola
austriaca di
von Mises e von Hayek, e la elaborazione della c.d. “terza via”
di Roepke, cioè l’ordoliberalismo in
senso proprio (la distinzione attiene più alle biografie dei
rispettivi protagonisti, cioè a fortune politiche e mutevoli sedi di
insegnamento accademico, che ad una reale separazione
politico-ideologica, come vedremo).
L’ordoliberalismo,
infatti, fin
dalla sua genesi,
si pone come un tentativo linguisticamente e ideologicamente (nel
senso della enunciazione dei valori perseguiti) mirato a
rendere accettabile la sostanziale realizzazione -o “rivincita”-
del liberismo, cioè
del “governo del mercato” sull’intera società; e questo era
considerato attuabile conservando
la facciata del
soggetto, lo
Stato strutturato,
che era visto come la principale interferenza contraria a tale
realizzazione.
4) L’AVVERSARIO
E’
ovvio che, nella fase storica del nazifascismo, questa
visione si potè valere,
certamente in Germania e, per certi innegabili aspetti in
Italia, della
coincidenza (transitoria) dello Stato centrale, –
l’avversario tout-court di
ogni dottrina liberista-, con quanto storicamente manifestatosi nel
totalitarismo militarista e guerrafondaio di
tale epoca (almeno nei luoghi di nascita dello stesso ordoliberismo).
La legittimazione,
addirittura “pacifista“,
del liberismo compromissorio (nella sola fase iniziale) e strumentale
(data la permanente mira alla restaurazione del modello liberista
nella sua sostanza integrale), poté quindi godere di un’ambigua
investitura “etica” di
opposizione al totalitarismo.
In
effetti, però, l’ordoliberalismo al
totalitarismo non rimproverava affatto la soppressione di quelle
libertà “attive” (contro cui si era sempre mobilitato) che
contraddistinguevano la
democrazia abbattuta dagli stessi totalitarismi:
in altri termini, rispetto
alla soppressione-negazione (eventuale) dei diritti c.d.
sociali (ovvero
di tutela del lavoro e del welfare), considerati dai neo-liberisti di
ogni “scuola” quali inaccettabili distorsioni del mercato (in
particolare e soprattutto, di quello del lavoro),
l’ordoliberismo rimaneva
in posizione neutra.
La
posizione ordoliberista sulla progressiva natura “interventista”
dei totalitarismi, poi, divenne inevitabilmente critica,
in nome di un indistinto richiamo alla libertà, dato che i
“fascismi“,
seppure con livelli
quantitativi “non
inflattivi” e
compatibili con l’alleanza organica col capitalismo industriale
nazionale, aderirono
in vario modo all’idea rinnovata, (post crisi del ’29),
dell’erogazione delle “sicurezze” sociali alle
masse governate, come pure a quella di una forte presenza pubblica
nel settore bancario.
Anzi,
questo versante della critica al nazifascismo, è tutt’ora
utilizzato dalla parte liberista più ostinatamente (e
strumentalmente) ignara delle reali vicende storiche e dei relativi
dati economici:estrapolando
le politiche sociali dei totalitarismi come elemento caratterizzante
principale(se
non unico) degli stessi, il neo-liberismo propone la mistificatoria
equazione tra
i totalitarismi e lo stesso Stato democratico pluriclasse del welfare
(si tratta del fenomeno dell’ Antistalismo
libertario “liceale“)
5) LA LEGITTIMAZIONE
Questa confusione –
se non altro sulla natura e sulle
reali ragioni dell’opposizione del liberismo agli stessi
totalitarismi-non può
certo dirsi casuale, dato
che i totalitarismi fascisti
si rivelarono come efficaci
rimedi proprio al fallimento
dei metodi di controllo sociale in precedenza predicati
dall’imperante liberismo, quello
dell’epoca del gold-standard,
del colonialismo e dell’avversione al “monopolio” sindacale.
Nondimeno, questa
militanza oppositiva al nazifascismo,
– determinata in ultima analisi dalla (consueta) insofferenza
liberista verso mediatori “politici” estranei all’oligarchia
liberista,
e la cui stessa esistenza attestava la natura fallimentare della
società (neo)liberista-, consentì ai liberisti di sedersi
al tavolo della “ricostruzione” con un’insperata
legittimazione.
Ancorchè,
quantomeno in Italia, gli stessi (ordo)liberisti, in sede di
Assemblea Costituente, risultassero recessivi;
e parliamo proprio degli Einaudi,
dei Nitti,
e dei vetero-liberisti strettamente connessi,
nella loro traiettoria culturale, proprio ai von Hayek-von
Mises e ai Roepke.
6) LA COSTRUZIONE EUROPEA
Tutti
i passaggi finora accennati possono trovare, senza grandi sforzi
bibliografici, un’agevole conferma sia storica che contenutistica,
nelle vicende e nelle biografie che contrassegnarono
i protagonisti prima
del dopoguerra (ri-costruzione), poi della
stessa “costruzione
europea”,
nelle sue fasi “comunitarie” e, successivamente
“federal-unioniste”.
Per
semplificare questa conclusione consigliamo
la lettura integrale di questo paper sul
principale teorico dell’ordoliberismo e della (apparente) “terza
via“,
cioè di quella che
sarà poi la struttura fondamentale del Trattato di Maastricht.
Va peraltro precisato, secondo la stessa letteratura scientifica che
ne ricostruisce la vicenda personale e scientifica, che lo
stesso Roepke non proponeva la
definizione di “terza via” :
“Röpke
non disegna una terza via tra l’economia di mercato e l’economia
collettivista. Lo dice lui stesso in forma esplicita nel già citato
importante scritto del 1961 (L’anticamera del collettivismo):
“Chiunque tema il rimprovero d’aver ignorato i segnali della
storia mondiale si
guarderà bene dal parlare ancora di un “sistema misto”, come
se ci fosse una terza possibilità,
atta a risparmiare la scelta, spesso scomoda, fra economia di mercato
e collettivismo quali principi dell’ordine economico”.
Ma
questa esplicitazione semmai conferma
la natura “cosmetica” dell’uso del termine “sociale”,
accanto a “economia
di mercato“, da
parte dell’ordoliberalismo e, quindi, degli stessi trattati
europei, che tale terminologia pongono al centro della disposizione
fondamentale dell’art.3 (par.3) del trattato sull’Unione.
“Significativa
è stata anche la
partecipazione (di R.), nel 1938, al Colloque di
Walter Lippman,
famoso tra gli intellettuali di indirizzo liberale dell’epoca,
nonchè l’incontro
con Luigi Einaudi nel 1944,
che diventerà un suo grande amico e con
il quale condividerà ampiamente il suo pensiero e le sue
teorie:
sarà Einaudi ad applicare la teoria della “terza via” di
Röpke in Italia per la rinascita economica del secondo
dopoguerra; ed infine il periodo passato a Graz (1928-1929),
dove entra
in contatto con la Scuola di economia austriaca, rappresentata
da von Hayek e von Mises.
L’Ordoliberalismo
nasce quindi come espressione di due scuole di economia:
quella austriaca (Friedrich von Hayek, Ludwig von Mises) e quella
friburghese (Walter Euken , Eugen von Böhm-Bawerk , Alexander
Rüstow e Wilhelm Röpke) rappresentata da eminenti
intellettuali, considerati i padri dell’economia sociale di
mercato…
…E’
importante precisare che l’Ordoliberalismo ha dato i natali
a quella “terza via” che si imponeva come opzione
tra il liberalismo economico e la pianificazione economica,
generando quello che è oramai conosciuto come “economia
sociale di mercato”,
dove lo Stato
assume un ruolo di regolatore al fine ultimo di realizzare il
benessere della società in un contesto di libero
mercato attraverso
i punti programmatici fondamentali dell’economia
sociale di mercato.
Questi
punti programmatici, nella versione dei padri fondatori
dell’ordoliberalismo, si possono sintetizzare così (poniamo in
corsivo la
corrispondente “traduzione” in previsioni
dei trattati UE):
—> un
severo ordinamento monetario (che
implica l’adesione al monetarismo ed alla convinzione
che l’inflazione sia
determinata dall’offerta
di moneta);
—> un
credito conforme alle norme di concorrenza (che
pone l’accento sulla privatizzazione
“bancaria” dell’emissione di moneta,
che consentirebbe la miglior regolazione dell’offerta monetaria,
svincolandola dall’interferenza delle politiche di deficit
pubblico);
—> la
regolamentazione della concorrenza per scongiurare la formazione di
monopoli(nella
convinzione che la libera
formazione dei prezzi,
incluso quello del lavoro, sia indicativa di un inappellabile
giudizio di efficienza compiuto dal mercato,
nella presunta condizione di concorrenza perfetta
dell’offerta, ignorando
perciò la prevalente struttura oligopolistica della produzione);
—> una
politica tributaria neutrale rispetto alla concorrenza (cosa
che aspira alla rinunzia
a ogni effetto redistributivo della tassazione,
visto come interferenza collettivistica sulla libera iniziativa e
competizione economica);
—> una
politica che eviti sovvenzioni che alterino la
concorrenza (ammettendo politiche
settoriali mirate sul solo lato dell’offerta,
ed eliminando in radice l’ammissibilità di ogni politica fiscale
di sostegno alla domanda);
—> la
protezione dell’ambiente (con
fissazione di standard tali
da agevolare
la realtà della grande impresa,
capace di sostenere la ricerca, la produzione e i costi privati di
tali standards;tale “protezione è inoltre vista come politica
sostitutiva della tutela sanitaria pubblica generalizzata,
da sostituire progressivamente, con un sistema sanitario assicurativo
privato);
—> l’ordinamento
territoriale (tale
da privilegiare
le realtà localistiche per
assottigliare la presenza degli Stati nazionali, legati
“pericolosamente” alle Costituzioni democratiche “interventiste”,
cioè che prevedono il sostegno alla domanda e all’occupazione
mediante il welfare);
—> la
protezione dei consumatori da truffe negli atti d’acquisto (la
tutela del consumatore consente di creare un’apparente
protezione della “parte debole”, sostitutiva
della tutela legale del lavoro,
col fine di svincolarlo dalla tutela del welfare e dalla spesa
pubblica relativa).”
7) TRATTATI EUROPEI
Si
può dunque senza particolare sforzo riconoscere che questi
“punti fondamentali” sono ritrovabili
con esattezza quasi compilativa nei trattati sull’Unione Europea;
nei loro riflessi
IMMANCABILI,
in termini di regole dominanti nella società interessata (in
pratica, quella dei paesi aderenti all’UEM), questi
“punti” avrebbero
svolto un ruolo fondamentale nella restaurazione del mercato del
lavoro perfettamente flessibile che
è, poi, in sostanza, la rivendicazione fondamentale del liberismo.
Al
momento in cui, come abbiamo visto sopra, maturarono le condizioni
per passare dalla fase difensiva (cioè dalle mere resistenze in sede
Costituente e nell’attuazione della Costituzione) alla fase
“operativa”, l’ordoliberismo si affidò a uomini come
Mitterand, soprattutto, lo stesso Amato e Carli in Italia, Tony
Blair, Olof Palme.
Con
ciò era saldata,
adeguandosi ai tempi –
di una minaccia “comunista” che si andava dissolvendo, fino alla
caduta del Muro di Berlino-, la
tradizione “cristiano-democratica” con quella
“socialista-liberale”,
essendo la seconda molto
più in grado, per la sua pregressa legittimazione pro-welfare, di
far accettare con immediatezza il “T.I.N.A.” (There
Is No Alternative),
il “nuovo mondo”, insito nella restaurazione.
Questa
restaurazione, (lo vediamo in questi giorni più che mai), veniva
quindi proposta
come “nuovo”,
reso necessario dalla “globalizzazione” e, in realtà, da
una liberalizzazione
dei capitali e dei movimenti di forza lavoro, e non solo più delle
merci,
che veniva simultaneamente propugnata e costruita in sede europea fin
dagli anni ’80 del secolo scorso.
Sul
piano della comunicazione
politico-economica,
quindi si è andata creando una sorta di petizione di principio:
cioè la
causazione artificiale (per via del funzionamento effettivo dei
trattati)della situazione di squilibrio economico, e poi di
inevitabile crisi, giustifica l’affidamento di eccezionali poteri
sovranazionali, erosivo delle sovranità nazionali.
Quei poteri di cui parla appunto Amato nell’incipit.
8) LA COSTRUZIONE EUROPEA ATTRAVERSO L’ORDOLIBERISMO
Ci
sarebbe da interrogarsi sulle mutazioni politico-internazionali
che condussero a tale saldatura.
L’auto-proposizione
dell’ordoliberismo come “terza
via“, (nominalistica
e tattica),
rese quasi naturale ciò per un processo
di “interpolazione“:
se occorreva configurare un’alternativa di riequilibrio
tra capitalismo sfrenato,
divenuto socialmente inaccettabile nell’evoluzione del conflitto di
classe nel corso del ‘900, ed ogni forma di economia
pianificata e
tendente all’inefficiente “collettivismo“,
quest’ultimo – via
via che si dissolveva, implodendo, il socialismo reale-,
finì per essere identificato col modello
economico-misto delle Costituzioni democratiche del welfare.
La costruzione
europea attraverso
l’ordoliberismo, dunque, si rivelò come occasione
storica di rigenerazione dei partiti socialdemocratici (o
riqualificatisi tali) in funzione antitetica al
“costituzionalismo“:
si considera eticamente “correct”
superare la sovranità costituzionale nazionale in nome della
“efficienza” sovranazionale, il “vincolo
esterno“.
Inizia così, specialmente in
Italia, la
grande stagione della “revisione” delle Costituzioni del
dopoguerra (basate sulla non modificabilità dei principi sottostanti
ai diritti sociali).
In
generale, in
tutta Europa inizia l’offensiva (OCSE-led)
delle “riforme“,
variamente proposte come soluzioni
imposte da una supernorma addirittura sovra-costituzionale.
Una proposizione che tende a
fardimenticare ogni
passato collegamento con il marxismo dei politici che la propugnano
e che “nova”
la sinistra filo-europea da pro-labor a
“progressista“:
si crea così una sinistra che viene legittimata, dall’idea di
“progresso”, a derogare o a sospendere l’applicazione dei
fondamenti costituzionali del dopoguerra.
9) LA BCE E LE RIFORME STRUTTURALI
Questa
conclusione sul ruolo dell’ordoliberismo (alquanto lineare per un
osservatore non superficiale) può trovare
un’autorevole interpretazione
autentica nelle stesse complessive parole di Draghi:
“In
this context, it is worth recalling that the monetary constitution
of the
ECB is firmly grounded in the principles of ‘ordoliberalism’,
particularly two of its central tenets:
–>
First, a
clear separation of power and
objectives between authorities;
–>
And second, adherence
to the principles of an open market economy with free
competition, favouring
an efficient allocation of resources.”
–
sia
nel costante e significativo invito di quest’ultimo
all’effettuazione di riforme
strutturali che
altro che non sono che il completamento
del mercato
del lavoro perfettamente
flessibile, auspicato come “essenza
autosufficiente”
della rivendicazione liberista.
10) LA SALDATURA DELLA SINISTRA EUROPEA E DEI CONSERVATORI
E
sul punto specifico, poi, non
esiste un fondamentale dissenso tra, più o meno rivendicate,
posizioni ordoliberiste “di sinistra” e posizioni più
prettamente “conservatrici“.
Entrambe
condannano la tutela
collettiva dei lavoratori,
vista sia come miope perseguimento di “interessi sezionali”
forieri addirittura del conflitto tra le Nazioni, sia che fosse, come
oggi, sanzionata come principale
caso di monopolio “avversario” del funzionamento del magico
“sistema dei prezzi” di mercato,
tanto più se legittimato dal deprecato riconoscimento normativo
dello Stato.
E
che questo disegno abbia, per l’Europa, utilizzato come
perno la “costruzione
federalista”
– salvo poi rinnegarla nei fatti, ma nel modo
tecnico-paludato e mimetico dei
trattati, -, è un
fatto storico su
cui, il
crescendo culminato nei fatti odierni,
non dovrebbe lasciare più alcun dubbio.
11) SVUOTARE DALL’INTERNO LA DEMOCRAZIA, CONSERVANDONE LE ISTITUZIONI
L’ordoliberismo,
quindi, per la sua natura tattica (cioè di compromesso o “terza
via”, abilmente propagandati, per rendere accettabili i suoi fini
ultimi) è uno strumento
ideologico-politico più efficace della dura
teorizzazione anti-keynesiana
e darwinista-sociale di
Hayek,
perlomeno assunta al suo stato più puro: questi
è portato ad ammettere
apertamente la preferenza per la dittatura rispetto
ad una democrazia (evidentemente “sociale”, cioè pluriclasse e
non oligarchica) che ostacoli la Grande
Società del
mercato.
L’ordoliberismo,
invece, svuota gradualmente dall’interno la democrazia,
predicando il riduzionismo “idraulico-sanitario”
della democrazia già definito da Hayek, ma
preferendo farlo in una cornice di apparente conservazione del quadro
istituzionale.
Cioè,
attraverso la mitologia tecnocratica dell’UE, l’ordoliberismo
consente lo svuotamento della democrazia sostanziale (“necessitata“)
del secondo dopoguerra, con un’alternanza
di gradualità ed accelerazioni, sostenute da una forte
cornice moralistica, ma tutta e sempre diretta solo contro lo Stato,
portatore di sprechi e corruzione, e mai contro il settore
finanziario e della grande impresa.
Questa
proclamazione “moralistica” fa
“assomigliare” l’ordoliberismo all’ordinamento democratico,
naturalmente imperniato su valori
solidaristico-umanistici, eliminando così,
almeno ad
un primo impatto, il senso di minaccia per
le comunità sociali coinvolte.
Almeno
fino a quando la minaccia non sia stata tradotta in un
risultato acquisito ed irreversibile: la
disarticolazione dell’azione pubblica a favore dell’interesse
generale di tutti i cittadini, nell’obiettivo di realizzare
l’eguaglianza sostanziale (e
non solo formale,
cioè che prescinde dalle divergenti condizioni sociali di partenza
dei diversi individui). Il che ci riporta direttamente al
“metodo” teorizzato da Giuliano Amato all’inizio
di questa trattazione .
Ma
ciò conferma anche il significato dello “stile”
della tecnocrazia
rivestita da slogan moralistici(pop),
quale ci descrive il
famoso brocardo di Juncker (metodo Juncker n.M.A.),
che riassume in tutta la sua efficienza la tattica politica
ordoliberista:
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