Da Orizzonte48, analisi condivisibile sull'utilità del voto del prossimo 4 marzo in relazione al crescente astensionismo, fenomeno spesso attribuito a mutazioni di interessi delle masse ma che da una più attenta analisi risulta essere un effetto socio-politico voluto e causato dall'élite detentrici del potere finanziario...Buona lettura.
1. Insomma, proseguendo nel discorso più che mai attualizzato dalla fissazione delle elezioni per il prossimo 4 marzo, la domanda è: a cosa potrebbero servire queste elezioni?
Abbiamo visto (in molte occasioni, come tema ricorrente, e da ultimo qui) come la risposta più immediata dipenda in definitiva dalla forma di Stato in cui si svolga il processo elettorale: democrazia "liberale" (o formale) o democrazia sociale (o sostanziale). Nella prima, in termini molto pratici, l'indirizzo politico prescinde da qualsiasi preferenza espressa dalla volontà popolare (e, preliminarmente, ci si assicura, attraverso organizzazioni che agiscono sulla base di precisi obiettivi programmatici, che la stessa volontà sia comunque condizionata da un accurato sistema di controllo mediatico-culturale).
2. Questo dualismo, sulla cui irriducibilità a un substrato comune non ci dovrebbero più essere dubbi (nel senso che se ancora li si avesse, si sarebbe troppo lontani da una comprensione utile...per se stessi), ci impone di accertare preventivamente in quale dei due modelli alternativi, in questo momento storico, ci troviamo a partecipare alle elezioni.
A livello intuitivo, cioè di reazione quasi-istintiva e non determinata da capacità di valutazione che implichino complesse conoscenze storico-istituzionali e politico-economiche, il corpo elettorale italiano sta reagendo com'è naturale che sia in una democrazia formale/liberale: cioè si astiene in percentuale crescente.
Un fenomeno che abbiamo più volte analizzato, evidenziando come sia il risultato di un vero e proprio modello operativo, promosso dalle élites, e studiabile con una certa precisione.
3. E sappiamo pure come questo modello operativo sia stato perseguito attraverso la teoria del vincolo esterno, in modo da trasformare, per l'appunto, la democrazia sociale della nostra Costituzione in una democrazia liberale, introdotta tramite l'imposizione - mai pienamente vagliata nella sua legittimità -, della prevalenza delle regole giuridiche derivanti dai trattati europei; e tutto questo, secondo una mera prassi applicativa dei trattati che non è mai corrisposta ad alcuna previsione esplitica degli stessi e che, quindi, non è mai stata oggetto di ratifica e di approvazione da parte dei parlamenti e dei cittadini degli Stati che ne subiscono le conseguenze.
Questa complessiva situazione che segna la inutilità delle elezioni stesse, - almeno nelle intenzioni delle élites che hanno governato questa trasformazione del nostro ordine costituzionale, anche nei suoi principi immodificabili-, è perfettamente riassunta in questo tweet di Federico Fubini:
Delle promesse elettorali irrealistiche dei partiti, non preoccupa che le attuino sul serio (sono inattuabili). Ma che dopo il 4 marzo ai politici manchi la legittimazione per attuare misure meno popolari, ma serie, perché non hanno mai chiesto il voto su questo
— federico fubini (@federicofubini) 2 gennaio 2018
4. Dunque, il vincolo esterno, cioè i trattati, servono a trasporre la determinazione dell'indirizzo politico in una sfera che renda pressocché superflue le elezioni ed elimini le incertezze sui suoi contenuti che potrebbero derivare da una democrazia rappresentativa di interessi più compositi di quelli della timocrazia capitalista.
Si tratta in sostanza di una metodologia che assimila il blocco delle democrazie europee, coinvolte nella costruzione €uropea, alla democrazia federalistica e liberale degli USA:cioè, gli stessi USA che sono, i promotori del progetto. Sempre Fubini ci offre una forte traccia di questa aspirazione e della sua realizzazione anche sul piano sociale e demografico:
L’Europa dei nuovi emigranti (europei). La UE diventa un po’ più simile agli USA: i giovani cambiano Stato dell’Unione, si spostano dove c’è lavoro. E la Germania attira talenti costosamente istruiti nei Paesi meno ricchihttps://t.co/WM3TLBDNLB
— federico fubini (@federicofubini) 2 gennaio 2018
5. Rammentato questo quadro, per rispondere al quesito iniziale (a cosa potrebbero servire queste elezioni?), possiamo ragionevolmente fare affidamento sugli studi scientifici effettuati negli stessi USA per verificare l'effettiva titolarità del potere di indirizzo politico. Ricorriamo ad uno paper, fondato su un ampio e significativo campo di dati, citatoci da Arturo. Dello studio riporto l'intitolazione e l'abstract che vi traduco:
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o Published online: 18 September 2014
AbstractCiascuna delle quattro tradizioni teoriche nello studio della politica americana - che possono essere classificate come teorie della democrazia maggioritaria elettorale, della dominazione della élite economica, e di due tipologie di pluralismo dei gruppi di interesse- offre differenti previsioni su quale serie di attori abbiano la maggior influenza sulla public policy: i cittadini normali (average citizens); le élites economiche; e i gruppi di interesse organizzati, aventi base di massa (mass-based) o funzionali al settore delle imprese (business-oriented).Una gran mole di ricerche empiriche tratta dell'influenza di una o l'altra serie di attori, ma fino a tempi recenti non è stato possibile testare queste teorie previsionali contrastanti tra loro all'interno di un unico modello statistico. Lo studio si sforza di realizzare ciò, usando un unico complesso di dati che include la misurazione di variabili chiave per 1,779 interventi di politica normativa (policy issues).L'analisi statistica multivariata indica che le élites economiche e i gruppi organizzati rappresentativi degli interessi del business hanno un sostanziale impatto indipendente sulla politica dello U.S. government, mentre i cittadini medi e i gruppi di interessi mass-based hanno un'influenza indipendente scarsa o nulla.I risultati forniscono un supporto sostanziale alle teorie della Dominazione della élite economica e a quelle del Pluralismo preorientato (Biased Pluralism), ma non per le teorie della Democrazia maggioritaria elettiva o per il Pluralismo maggioritario.
6. La trasponibilità analogica delle conclusioni di uno studio statistico è, ovviamente, un'ipotesi probabilistica: ma, per quanto riguarda un paese che sia impegnato in elezioni "politiche" come l'Italia, in quanto facente parte dell'unione economica e monetaria europea, le dinamiche osservabili, relative alla dominance della élite economica e dei gruppi organizzati degli "affari", sono persino istituzionalmente più rigide e prevedibili.
Sia per quanto riguarda la prefissazione, "una volta per tutte" di ogni possibile obiettivo delle politiche economico-fiscali generali, parlandosi da parte delle stesse istituzioni UE di "pilota automatico" (v. qui, addendum iniziale), sia per quanto riguarda la sostanziale ininfluenza dei parlamenti nazionali, e di conseguenza dei governi che da questi ritraggono, molto in teoria, le linee programmatiche della "fiducia", nel determinare in modo "indipendente" tali obiettivi.
Basti al riguardo, da un lato, rammentare il discorso di Barroso sulla predeterminazione tecnico-efficiente di tale indirizzo, in base al naturale sviluppo applicativo dei trattati, predeterminazione esaltata come producentesi al di fuori di qualsiasi dialettica maggioranza-opposizione (il che è l'esplicita negazione in assunto della rilevanza del processo elettorale nei singoli Stati membri), e dall'altro, i "paletti" che, - con piena consapevolezza di questo svuotamento dei parlamenti nazionali e quindi delle elezioni che ne precedono la composizione-, ha posto la Corte costituzionale tedesca a qualsiasi obbligo derivante dai trattati nella ben nota Lissabon Urteil (qui, pp.2-3).
7. Un approfondimento di questi aspetti, d'altra parte, è rinvenibile nell'intera produzione di questo blog (a partire dalla natura fondamentale dei trattati economici che fondano le organizzazioni internazionali e passando per la logica delle condizionalità che da essi derivano irresistibilmente, qui, pp. 4-7).
Ora, la risposta concreta al quesito iniziale sta dunque in due aspetti, entrambi di pari evidenza, ma caratterizzati dalla loro non simultanea percepibilità al "cittadino medio", immerso nel paradosso della proiezione identificativa cui lo induce il sistema di controllo mediatico-culturale, che sta procedendo alla sempre più accelerata sterilizzazione della stessa funzione del suffragio universale nei singoli ordinamenti nazionali, in specie dei paesi appartenenti all'eurozona:
a) in sostanza, l'unica residua opzione di voto che assume il senso di una scelta effettiva (e non meramente apparente), verte sull'accettazione o meno della prevalenza dell'ordinamento sovranazionale dei trattati e, in particolare, delle regole derivanti dall'appartenenza all'eurozona;
b) il respingere questa prevalenza e queste regole ha senso solo se ci si pone il problema della vera funzione e finalità delle stesse: cioè, l'instaurazione di una democrazia liberale/formale che (ri)porti le politiche pubbliche sotto la Dominance delle élites economiche e dei gruppi organizzati degli "affari".
8. Con queste due constatazioni obbligate (in base a tutto quanto precede), è automaticamente definita sia la questione della residua utilità delle prossime elezioni, sia la questione, ancora più spinosa, della identificazione delle forze politiche per cui avrebbe un "senso" esprimere un voto: queste ultime saranno logicamente quelle che sono in grado di formulare e far coesistere nei loro programmi, con inequivocabile chiarezza, entrambi gli aspetti critici appena esposti.
Non uno solo di essi (ad es; euro-brutto perché svantaggia le nostre imprese, ovvero, finanza-brutta e capitalismo predatorio, ma senza connetterlo all'euro e alle sue regole).
Può esprimersi questa sfumatura, non secondaria, del discorso, anche in questi termini: la stessa volontà politica di ripristinare la flessibilità dei cambi all'interno dell'occidente europeo è certamente indicativa di un obiettivo di ripristino di un certo livello della democrazia del lavoro; ma (come mostra d'altra parte la situazione del Regno Unito, come quella, sia pur eccezionalisticadal punto di vista monetario, degli Stati Uniti), ciò non implica automaticamente l'abbandono del mito delle politiche deflazionistiche-competitive sul solo lato dell'offerta (cioè dell'élite economica e dei suoi gruppi organizzati), e la tensione al monetarismo come proiezione attualizzata, e politicamente accettabile, dell'altra mitologia del gold standard.
Basti ricordare che uno strumento, qual è la moneta unica entro un trattato liberoscambista, per quanto efficiente, rimane pur sempre tale.
8.1. Se non si è consapevoli del tipo di democrazia che si vuole nel nostro Paese, le stesse forze che hanno imposto il vincolo esterno e che hanno da sempre congiurato per disattivare la Costituzione, potranno sempre trovare altri strumenti, adattandoli alle nuove condizioni di controllo del consenso che l'evoluzione geo-politica, soggetta a stress determinati dalla sua stessa rigidità ideologica, riterrà ancora praticabili.
E li potranno trovare tanto più facilmente in quanto non sia attentamente rivisto l'impianto giuridico-istituzionale, ormai strutturato nelle sue alterazioni, che caratterizza l'ordinamento interno a seguito di decenni di applicazione del vincolo esterno: questa revisione precondiziona in modo essenziale lo stesso problema delle eventuale revisione dei trattati, e la realistica possibilità di un utile negoziato che ne riconduca le previsioni alla compatibilità con l'interesse nazionale.
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