Alle porte dell'elezioni del prossimo 4 marzo, Orizzonte48 fa' il punto della situazione delle reali scelte di politica economica fatte in Italia nell'ultimo secolo al fine di individuare, come fanno i marinai sulle carte nautiche, la vera rotta intrapresa. Futuro sempre più fosco e grigio per le masse lavoratrici...
1. Nell'approssimarsi di queste elezioni, forse decisive o, più probabilmente, momento estremo di una (finora) successful strategia conservativa, facciamo il punto-nave della società italiana, intesa come Stato-comunità, che si muove sulla traiettoria impressa dalle intenzioni della classe dirigente, sempre meno nazionale, che detiene il potere effettivo di governo.
Per definire tale punto-nave occorrono alcuni "punti di posizione", correlati a dei "punti cospicui", la cui esatta stima combinata ci fornisce la rotta effettiva (diversa, in quanto corretta in funzione della traiettoria effettivamente percorsa, rispetto alla rotta teorica, inizialmente dichiarata, e tanto più diversa in quanto la navigazione venga intrapresa trascurando, con negligenza o intenzionalmente, una serie di forze che influiscono fisicamente sul moto o sugli strumenti di sua rilevazione).
2. Appare possibile compiere un'operazione analogica di questo tipo rispetto ad un'intera società nazionale, nel cui interesse esclusivo dovrebbero agire i titolari delle istituzioni, secondo un solenne impegno previsto dalla Costituzione, all'art.54; una Nazione che, a tutt'oggi, risulterebbe ancora "entificata" in quella che un tempo poteva essere chiamata, (senza subire accuse di collettivismo - nazionalismo guerrafondaio - protezionismo- anti€uropeismo e via dicendo), Repubblica democratica fondata sul lavoro.
E spero di non avere dato luogo a notizie scioccanti qualificabili come fakenews.
3. Per definire il punto-nave, quindi abbiamo punti-cospicui e punti di posizione in abbondanza, costituiti da fatti storici noti e univocamente riscontrabili e da interpretazioni e precetti programmatici che li giustificano e li preparano in modo dichiarato.
Sappiamo, ad esempio, che il principale di questi "punti" consiste nell'intenzione restaurativa dell'ordine internazionale del mercato, perseguita attraverso una serie di trattati caratterizzati dal perseguimento dell'interesse economico, privato, del numero ristretto di individui "cosmopoliti" che sono titolari della proprietà e dei poteri gestionali che definiscono, momento per momento, il fenomeno sociologico, transnazionale, denominato "mercato",come ci insegna Galbraith, e che, appunto, tali trattati intendono massimizzare.
Il più immediatamente vincolante è il trattato istitutivo dell'unione economica e monetaria europea, che, a sua volta, è dichiaratamente volto (nelle dichiarazioni dei suoi sostenitori) araccogliere la sfida della globalizzazione, anch'essa rigorosamente istituzionalizzata in un insieme coordinato di trattati e di soft law dettato da organizzazioni internazionali.
4. E perché lo sappiamo?
Perché lo affermano solennemente i suoi stessi promotori, all'interno di norme fondamentali e di analisi teoriche comunque interpretative di principi informatori di tali trattati e organizzazioni internazionali.
L'idea-guida, cioè l'obiettivo politico assunto a livello sovranazionale dalle elites cosmpolite che predeterminano, prima ancora dell'azione formale dei negoziatori investiti dai singoli Stati (operanti quindi, in una fase attuativa che già si colloca "a valle" della predeterminazione di tale obiettivo), è la restaurazione dell'ordine internazionale del mercato, quale definita da Karl Polany (qui, p.4).
Una restaurazione che, proprio in quanto tale, trova il suo modello istituzionale di riferimento nella "codificazione" compiuta nelle due famose Conferenze di Bruxelles (1920) e Genova(1922).
(Per inciso: i links sono indispensabili per coloro che, non hanno avuto modo di seguire le precedenti analisi).
5. L'ordine internazionale del mercato si incentra su tre "istituzioni" (qui, p.1.2.), intese come fatti normativi, come regole, che caratterizzano sopra ogni altra l'organizzazione strutturale del potere decisionale e gli obiettivi di quest'ultimo (la c.d. governance), nonchè gli strumenti stabili di loro perseguimento:
a) il gold standard o una moneta che, nei suoi effetti socio-politici conformativi, gli equivalga(funzionalità isomorfa), accompagnandosi al suo postulato-corollario della banca centrale indipendente dagli organi rappresentativi dell'indirizzo elettorale democratico, cioè "al riparo dal processo elettorale". Uno strumento istituzionale che, come illustrano Carli e Eichengreen nel post appena linkato, tende irresistibilmente a gerarchizzare la società che l'adotta in un'oligarchia timocratica dominante e in una massa, subalterna, di lavoratori-merce;
a) il free-trade, inteso come apertura normativizzata delle economie al fine di assoggettarle incondizionatamente al principio dei vantaggi comparati (qui, p.2), e quindi ai suoi effetti gerarchizzanti e verticistici rispetto alla pluralità delle comunità nazionali degli Stati coinvolti. Un paradigma pretesamente pacifista (che in realtà non lo è mai stato, né politicamente né militarmente, cfr; pp.7-8), in contrapposizione concettualmente arbitraria al "protezionismo" che, in chiave storico-economico, è un concetto unificabile solo arbitrariamente, in quanto riassuntivo di condizioni politiche e finalità di sviluppo industriale molto diverse tra loro;
c) la flessibilità del mercato del lavoro che, intrecciandosi con le due precedenti "istituzioni" in una situazione di economie istituzionalmente aperte, risulta anch'esso produttiva di gerarchizzazione sia sociale (cioè tra classi sociali interne ad una stessa comunità nazionale) che internazionale (cioè tra Stati, che come possono imporre la propria scelta delle produzioni a più alto valore aggiunto in base ai "vantaggi comparati", così possono anche scegliere di impiegare la manodopera più qualificata, resa flessibile e mobile, attingendola all'interno dell'intera area plurinazionale di libero scambio indipendentemente dalla sua provenienza da un altro Stato-ordinamento in cui tale manodopera si sia formata).
6. E la democrazia, diranno alcuni, in tutto ciò? E la promozione della redistribuzione della ricchezza prodotta e la connessa mobilità sociale?
Non sono in agenda: la rotta effettiva sconta tali fenomeni tatticamente, quanto al punto di partenza, promettendosi aumento del benessere economico e della qualità di vita, e proponendo così un modello di proiezione identificativa delle masse negli interessi delle elites, ma la destinazione è tutt'altra (la censura su questo "punto zero" della rotta e il conseguente "paradosso €uropeo", a onor del vero, pur tra mille difficoltà iniziano ad essere pericolosamente chiari alle masse dei "perdenti della globalizzazione").
7. La promessa, liberoscambista e globalizzatrice, di maggior benessere è una nota prospettiva immaginaria (mai verificatasi nella Storia economica, abbiamo visto), mentre il suo fine, la meta d'approdo, è, appunto, quella della restaurazione dell'ordine internazionale del mercato, cioè, per il tramite delle sue istituzioni gerarchizzanti, il dominio di un'elite timocratica.
Si conferma dunque che l'operazione restauratrice, com'è in fondo evidente sapendo che il suo paradigma è stato codificato (pur tra alterne fortune, tra cui si annovera, se non altro, la crisi del 1929), nel 1920-1922, è pura riproposizione della democrazia liberale, - quella cheGramsci definisce come caratterizzata da una legalità formale che dissimula il dominio ferreo, sul processo elettorale, del capitalismo sfrenato.
8. La sua efficacia politica non può dunque avere altro fondamento che l'uso sistematico, e abilmente dissimulato, mediante il notorio controllo culturale, accademico e mediatico, della dottrina della doppia verità, che tra Schmitt, Hayek e paradosso europeista, si compendia anche, e non secondariamente, in una tecnica normativa:
"In effetti, la partecipazione al colpo di stato cileno del 1973 da parte di numerosi membri e affiliati alla Mont Pèlerin Society, di cui von Hayek fu uno dei fondatori, è una delle manifestazioni più note della dottrina neoliberista della doppia verità, secondo la quale ad una élite si insegna la necessità di reprimere la democrazia (concetto proveniente da Carl Schmitt, da von Hayek stesso definito “il giurista della Corona” di Hitler), mentre alle masse si racconta di “smantellare lo stato-balia” ed essere “liberi di scegliere”. Come spiega Mirowski (p. 445):
Milton Friedman impiega buona parte della propria autobiografia a tentare di giustificare e spiegare le sue azioni; in seguito, anche Hayek fu pesantemente criticato per il suo ruolo. “Fu soltanto una sfortunata serie di eventi eccezionali”, dissero, “non era colpa nostra”. Ma Carl Schmitt ha sostenuto che la sovranità è definita come la capacità di determinare le eccezioni alla legge: “Sovrano è chi decide lo stato di emergenza”. Il dispiegamento della dottrina della doppia verità in Cile ha mostrato che i neoliberisti si erano arrogati la sovranità per loro stessi".
b) la tecnica redazionale dei trattati, la cui riduzione al significato precettivo effettivo è resa intenzionalmente impenetrabile ai destinatari (cioè i trattati sono scritti in modo illeggibile, cioè tale da risultare incomprensibili, come ci ha spiegato Amato, insieme a tanti altri, in una famosa intervista del 12 luglio 2007):
D'altronde, l'adattabilità del liberismo economico in funzione del contestogeostorico ha dimostrato, anche nella storia contemporanea, di usare strumentalmente lo Stato come Leviatano, funzionalmente alla libertà del capitale e al contestuale asservimento del lavoro: dal neoliberismo imposto con la violenza nel Cile di Pinochet, all'ordoliberismo che, insieme alla retorica dell'irenismo kantiano del federalismo, è stato progettato per servirsi di un autoritario Stato burocratizzato volto all'instaurazione di un mercato libero da finalità sociali.[7]
Dato il disgusto morale (o, forse, “estetico”) per le sovrastrutture ideologiche promosse dal nazifascismo, pare che a Friburgo l'élite abbia studiato una soluzione diversa e più correct; ma i fini sono strutturalmente i medesimi: la liberalizzazione dei capitali con ogni mezzo e l'asservimento dei lavoratori.
Le proposizioni nell'ordoliberismo sono usate come fossero complementari – ad es. “libero mercato” e “giustizia sociale”, “stabilità monetaria” e “piena occupazione”[8] – mentre, per motivi strutturali, qualsiasi sovrastruttura giuridica non potrà obbligare gli organi di governo ad eseguire entrambi gli obiettivi, essendo per motivi “tecnici” mutuamente esclusivi. Poiché il capitale è naturalmente più forte del lavoro, la spoliticizzazione del governo delle comunità sociali permette di relativizzare l'ordine giuridico in funzione degli interessi del capitale del Paese dominante.
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