venerdì 28 marzo 2014

LIBERISMO E COSTITUZIONI DEMOCRATICHE: CONFLITTO FINALE

Pubblico un meraviglioso e terribile post di Luciano Barra Caracciolo dal suo blog Orizzonte 48 in merito al conflitto finale tra ordoliberismo e Costituzioni democratiche. Uno scenario lugubre in cui, tuttavia, il lumicino della speranza resta ancora acceso.
Qui c'è in gioco l'assetto sociale prossimo futuro.
 "Captive demand", dove tutto è merce e consumo, o Stato democratico?
Ritengo doverosa, fondamentale e vitale la comprensione dei concetti espressi da Barra Caracciolo, solo attraverso la loro assimilazione si comprende il reale stato della democrazia in Italia e l'impervio cammino verso il capitalismo sfrenato intrapreso con il recepimento dei Trattati europei, veri cavalli di Troia degli ordinamenti democratici sanciti dalle Costituzioni post II guerra mondiale.
Da qui la semplice riflessione che l'€ non è stato altro che lo strumento principe utilizzato per il loro scardinamento.
Anche se per qualcuno può risultare di difficile comprensione o di lunga esposizione, vi invito a tenere duro fino alla fine, abbiate il coraggio di conoscere.



Per meglio comprendere l'argomento di questo post dobbiamo riallacciarci ai discorsi già svolti, in particolare, in questi due post :


Da tali post traiamo gli snodi essenziali per costruire uno schema operativo su cui fondare un'esatta rivendicazione della legalità costituzionale violata dai trattati europei e dalle loro molteplici applicazioni.
  Le Costituzioni nascenti dal potere costituente popolare si connettono al verificarsi di eventi straordinari segnati dalla drammatica rottura coi precedenti assetti di potere e dalla nascita di ordinamenti politici nuovi, antagonisti di quelli sconfitti .
In un quadro analogo di straordinarietà si colloca il potere costituente che ha dato vita al nuovo assetto costituzionale italiano del 1948...La Costituzione italiana del 1948 è dunque anch'essa manifestazione di un potere costituente che emerse da eventi straordinari e drammatici, consumati in conseguenza della costante violazione dello Statuto albertino da parte di chi doveva esserne il custode.

Tuttavia, se la caduta del fascismo è "l'occasione"di instaurazione del nuovo potere costituente democratico, occorre una seria cultura storico-giuridica per comprendere quale fosse, in base al chiaro tenore dei lavori della Costituente, il modello antagonista effettivamente "sconfitto", individuabile come causa prima dello stesso avvento del fascismo.
Questa indagine a ritroso rende ben chiare le ragioni per cui, come garanzie essenziali di preservazione della democrazia dal modello antagonista sconfitto, si misero al centro i diritti fondamentali di tipo "sociale" (cioè quelli che compongono il welfare), costruendo come inderogabile una forma di democrazia che previene e neutralizza i pericoli di ritorno del regime sconfitto e condannato dalla Storia.
Si dà così vita ad una democrazia di valori dinamici che viene fondata sull'obbligo di attivazione delle istituzioni di "governo", per rendere effettivi i diritti stessi. Questo modo di essere - non meramente procedurale-elettivo- viene indicato, da Mortati stesso, come "forma necessitata" della democrazia contemporanea: ciò in quanto, affermatosi un concetto di democrazia rappresentativa degli interessi equiordinati di tutti i cittadini senza distinzione di classe sociale (sesso e credo religioso), la democrazia o "vive" in questo obbligo di attivazione, e quindi nella realtà di politiche pubbliche rispondenti ai diritti fondamentali (di cui il lavoro, serve forse ripeterlo, è il primo) o "non è".

Il liberismo, a sua volta è, per definizione, uno schema diametralmente opposto alla democrazia "necessitata" accolta dalla nostra Costituzione.
Se non altro perché esso afferma, esattamente come i trattati UE, la proposizione astratta della "forte" concorrenza come modalità centrale della realtà socio-economica, postulando un'esigenza assoluta di astensione dello Stato da ogni interferenza (non indispensabile) su tale modalità. Abbiamo visto come, in realtà, la "concorrenza perfetta", sul lato dell'offerta, non sia affatto predicata nè dai teorici del neo-liberismo (scuola austriaca, in primis), nè dai trattati.
Si accoglie, piuttosto, un'idea di concorrenza "fisiologicamente imperfetta" - non a caso chiamata nel diritto antitrust a matrice anglosassone "workable competition"-  che opererebbe, rispetto alla platea dei "produttori" privati (oligopolisti), in modo da non compromettere l'innovazione tecnologica, il rafforzamento finanziario e la preservazione di un certo "potere di mercato"... Il puro agire della domanda e della offerta, al di fuori cioè di situazioni di vischiosità strutturale e di rendita, viene dallo stesso liberismo accettato come residuale.
Ma a quale "residuo" la legge della domanda e dell'offerta viene dunque considerata incondizionatamente applicabile? Al mercato del "lavoro", tanto che tutta la teoria macroeconomica neo-classica, si incentra sulla teorizzazione del lavoro come "merce".

Se questa è l'essenza del (neo)liberismo, confermata nei trattati dall'art.3, par.3 TUE, inteso nelle sue priorità proiettate su tutte le altre norme europee, è agevole rilevare che esso risulta inconciliabilmente in contrasto con le Costituzioni democratiche, interventiste, pluriclasse e incentrate sulla tutela integrale del lavoro. Non volte, quindi, come i trattati, all'ambigua "piena occupazione" neo-classica, intesa come qualsiasi livello di impiego raggiungibile in situazione di pienezza della legge della domanda e dell'offerta sul mercato del lavoro, nonchè di stabile riduzione delle aspettative di inflazione.

 Le conseguenze pratiche del riaffermarsi, per via del "vincolo europeo", del liberismo, o capitalismo "sfrenato", (secondo Popper), fondato sul lavoro-merce e sulla deflazione, sono ben tangibili e immediate, in termini di sopravvenuta irrealizzabilità del dettato costituzionale (de facto), in quanto incentrato sul principio lavorista della piena occupazione in senso proprio.
Tale irrealizzabilità si verifica senza passare per le procedure di revisione costituzionale, che, tra l'altro, in materia neppure potrebbero essere utilizzate, trattandosi di incidere su principi fondamentali inderogabili, riconducibili in via sistematica (e per la stessa Corte costituzionale) all'art.139 Cost.
Tuttavia, una volta prevalente, in via di colpo di forza politico (sovranazionale), la volontà di riaffermare il modello liberista, tramite una disapplicazione progressiva ed inesorabile dei principi intangibili della Carta democratica, imponendosi ai parlamenti di rilegiferare (reiteramente) il lavoro come merce, ciò implica inevitabilmente il transito verso un sistema diverso da quello costituzionale, in modo extraordinem.
Quando, invece, si pone mano ad operazioni di revisione della Costituzione (art.138 Cost.), esse traggono origine da una investitura che nella stessa affonda le sue radici - e se al potere di revisione sono posti limiti e confini che chi si appresta alla revisione ha il dovere di rispettare, non si è in presenza di potere costituente, bensì di potere costituito.
Per come è previsto dall'art.138, il potere di revisione appare chiaramente preordinato a modifiche puntuali che lascino intatto l'impianto complessivo.  Un procedimento di revisione diverso da quello previsto, e per raggiungere risultati eccedenti quelli consentiti dalla sua stessa natura, non potrebbe considerarsi praeter Constitutionem, bensì contra Constitutionem,
Se poi  i mutamenti, che vengono apportati, sono tanto radicali da farne risentire anche le parti non espressamente modificate, ne discendono in prospettiva squilibri ad antinomie che portano all'indebolimento dell'insieme, così esponendolo al sempre più frequente rischio di manomissioni. E poi come si risolveranno i contrasti tra la prima e la seconda parte della Costituzione, che già si vanno profilando come conseguenza delle modifiche proposte?

Se volessimo prendere a prestito gli istituti del diritto privato, useremmo la formula del "procedimento in frode alla legge", consistente nel porre in essere atti che, se considerati separatamente, appaiono in sè validi, ma che producono nella loro sinergia un risultato che eccede o capovolge la premessa.

Lo stesso meccanismo "in frode alla legge" (costituzionale suprema) può però ben descrivere il già esaminato processo di affermazione, per via di atti applicativi del diritto europeo, del neo-liberismo contro i limiti invalicabili posti alla stessa revisione costituzionale: i singoli atti di recepimento in sè non integrano neppure delle revisioni costituzionali ad es; in tema di banca centrale, di sistematica riduzione dell'intervento pubblico, di continue riforme del lavoro e del sistema pensionistico.
Le singole "riforme in nome dell'Europa", si limitano semmai a violare singoli parametri costituzionali, i quali, tuttavia, rimangono intatti; artt. 4, 36, 38, 41, 43, 47 Cost. Ma la sinergia di tali atti è tale che, progressivamente, si stabilizza un risultato, avuto di mira fin dall'inizio - cioè insito nel trattato-, che rende inoperativa la Costituzione ben oltre gli stessi limiti imposti alla revisione costituzionale.
In ogni caso, una situazione di rottura della legittimità costituzionale potrebbe, in astratto, verificarsi solo se si manifestasse un Potere costituente (cioè ascrivibile al popolo nella sua unità identificativa della sovranità), che assumesse esplicitamente questo modello in base all'univoco consenso dello stesso popolo sovrano. Diversamente si tratterebbe di un atto eversivo.

Non a caso Carli, nel definire l'appropriazione (extra-legem) della pretesa indipendenza della banca centrale dal governo-parlamento, parlò, a suo tempo, di atto "sedizioso".
Sono gli stessi epigoni attuali del liberismo internazionalista della finanza globalizzata a porre, dalla loro angolazione, il problema in questi termini.
Cioè gli stessi neo-liberisti, abbandonando ormai ogni velatura alla loro autoaffermazione autoritaria, pongono il problema strategicamente.

Essi, oggi più che mai, cercano dunque una soluzione istituzionalizzata "finale" per il nuovo assetto di potere che hanno consolidato de facto e extraordinem:  come teorizzato negli studi "privati", dopo aver camuffato i loro obiettivi - tra altri concetti mimetici o "cosmetici"-, nei trattati UE, ed aver utilizzato questi ultimi come grimaldelli contro le Costituzioni, mirano a ratificare in "nuove" costituzioni l'assetto di forza  realizzato per renderlo irreversibile.
Ed è proprio questo risultato finale di irreversibilità che bisogno impedire se si vuole difendere la sostanza della democrazia "rimasta" e sperare nella sua rinascita.



Nessun commento:

Posta un commento