giovedì 23 gennaio 2014

L'iperbole capitalista



La parola "capitalismo" è usata con molti significati differenti, a seconda degli autori, dei periodi storici, e talvolta del giudizio di valore che l'autore porta sull'organizzazione sociale vigente. Volendo trovare un comune denominatore alle diverse visioni, si può forse affermare che per capitalismo si intenda, generalmente e genericamente, il "sistema economico in cui i beni capitali appartengono a privati individui".



Inteso come sistema economico, e per estensione l'intera società, il suo funzionamento si basa sulla possibilità di accumulare e concentrare ricchezza in una forma trasformabile (in denaro) e re-investibile, in modo che tale concentrazione sia sfruttata come mezzo produttivo.



Il motore del capitalismo è dunque la produzione di beni reali nel quale processo si utilizzano i fattori lavoro e capitale e il cui output viene posto sul mercato ottenendo dalla vendita un profitto (Return on sales). Il profitto, in generale, viene a sua volta riutilizzato come capitale di investimento produttivo o convertito in patrimonio, o semplicemente monetizzato e accumulato in ricchezza privata.



La massimizzazione del profitto si ha quando i fattori produttivi vengono remunerati al valore della produttività marginale (cioè quello che ricava dall’ultima risorsa lavoro assunta).

Da ciò si evince, banalmente, che salario reale e produttività dovrebbero crescere allo stesso tasso, in una sorta di panacea del conflitto redistributivo generato dalla asimmetrica concentrazione della ricchezza. Ognuno verrebbe remunerato in base al proprio contributo.

Se i salari crescono meno della produttività?

Accade che i lavoratori non hanno soldi per comprare quello che hanno prodotto (scende la domanda), e se tutti lo fanno crollano gli acquisti e i consumi con la conseguenza che il problema dei lavoratori si espande agli attori del mercato stesso.

Quando la produttività si stacca dal salario si innescano delle crisi finanziarie, perché?

Il capitalismo funziona se c'è la domanda, se vengono repressi i salari, la domanda viene finanziata con il debito: con il debito pubblico (come in Italia negli anni '80 fino alla metà degli anni '90) o con il debito privato (dal '95 in poi) o con il debito altrui (come fa' la Germania, creditrice netta in UE).

Per una simmetria economica a ogni debito corrisponde un credito, nel primo caso quindi il creditore coincide con gli acquirenti dei titoli Stato italiani ed esteri, nel secondo sono prevalentemente le banche estere, nel terzo è la Germania stessa che, divenuta concorrenziale sul mercato per una valuta sottovalutata, reinveste il surplus sotto forma di prestiti ai privati (famiglie e imprese) nei paesi indebitati dell’Eurozona. Da qui la crisi diffusa da debito privato, soprattutto nei PIIGS, come confermato  da Vìtor Constancio, vice direttore della BCE.

Il creditore vuole un tasso di interesse elevato (maggiore ritorno economico dell’investimento) e una bassa e stabile inflazione (capitale restituito e interessi con lo stesso potere d’acquisto al momento dell’erogazione del prestito), il debitore ha interessi contrari.

Quando in un mercato il capitale si libera, e il lavoro no poiché per sua natura è meno mobile, il fattore lavoro ha perso, la sua remunerazione non cresce o si deprime.

Va da sé che il fattore capitale nasce internazionale, il fattore lavoro non lo sarà mai, nonostante le massicce emigrazioni, vecchie e attuali.

Cosa c'entra l'Euro in tutto ciò?

La prima volta che si parla di moneta unica è il rapporto Werner del 1971, in cui in estrema sintesi la motivazione che la sosteneva era che l'unione monetaria avrebbe agito da fermento verso un'integrazione politica dell'unione.

Subito dopo sempre nel 1971 Kaldor si opponeva all’idea moneta unica, dicendo che se si fosse proceduto come ipotizzato da Werner, la necessaria pressione sui bilanci dei singoli Stati dell'Unione e la spinta recessiva creata dalla politica monetaria comune avrebbe creato delle tensioni che rischiavano di compromettere per sempre l'unione politica e addirittura l'esistenza dell'Unione stessa. Sintesi: non si può avere una moneta senza Stato, se ci si prova si andrà alla guerra.

Era già stato detto tutto oltre quaranta anni fa.

Una successiva e suggestiva giustificazione alla moneta unica, stava nel fatto che, crollato il blocco sovietico, era venuta a mancare una forte motivazione all'integrazione Europea che sarebbe stata ritrovata quindi nell'adozione della moneta unica che ci avrebbe aiutato a fare la cosa giusta come nell'idea di Werner.

Ma a noi ci dissero un'altra cosa, chi non ricorda i discorsi di Prodi? Si ridurranno i costi di transazione il commercio esploderà, ci sarà tanta concorrenza i prezzi scenderanno etc. qualcuno sosteneva che il commercio europeo sarebbe cresciuto del 200%.

I dati tuttavia dimostrano come il tasso fisso non abbia avuto nessun impatto sull'aumento del commercio e sulla riduzione dei costi di transazione.

Diventa irrilevante avere un cambio fisso ai fini del commercio ma risulta evidentemente rilevante ai fini della libera circolazione del capitale.

Infatti le transazioni commerciali da 30 a 120 gg hanno un tasso di variazione del cambio piccole, Oliver Eaton Williamson premio Nobel per l'economia nel 2009, ha dimostrato che nel medio periodo le variazioni si compensano, cioè mediamente non ci si perde, tuttavia se si prestano soldi a dieci anni come si fa a prevedere quanto sarà il reale quantitativo di moneta che si riceverà a rimborso ?

L'adozione del cambio fisso non è strumentale alle logiche del commercio ma a quelle della finanza o, in altre parole, della libera circolazione dei capitali.

L'Euro è un tassello del processo di liberalizzazione dei capitali, basato sull’utilizzo della stessa valuta da parte di Paesi con fondamentali economici diversi, che parte all'inizio degli anni '80 con l'aggancio al dollaro di alcune nazioni (Argentina) mietendo vittime, e poi in Europa mietendo altrettante vittime.

L'adozione dell'Euro dal punto di vista europeo ha dei chiari significati in termini di conflitto distributivo cioè di rapporto tra i fattori capitale e lavoro, e in termini di conflitto geopolitico nord-sud sul piano industriale, in termini di vantaggi comparati infatti le caratteristiche industriali tra Germania e Italia erano molto simili, competevano sugli stessi mercati, meccanica di precisione, automobilistico, chimico, insomma l'Italia era una piccola Germania, ora è una grande Grecia.

Dicono: Se abbandoniamo l'Euro sarà una catastrofe perché la Lira sarà debole.

Premessa, da quando siamo entrati nell'Euro la moneta si è svalutata del 20% e nessuno pare essersene accorto.

Ma anche per la Germania passare dal marco all'Euro ha significato passare da una moneta forte a una debole, visto che l'Euro era espressione della media dell'economie europee, e quindi per la Germania che aveva dei fondamentali economici migliori ha significato appunto adottare una moneta più debole.

Perché lo hanno fatto? Perché rimuovere la flessibilità del cambio avvantaggia fatalmente le economie più forti e svantaggia le economie più deboli che si ritrovano una moneta più forte di quanto si potessero permettere.

Non possiamo fare più svalutazione. Ma la svalutazione significa la rivalutazione di qualcun altro.

Dal 1979 all'entrata dell'Euro noi avevamo uno standard di riferimento che era l'ECU una moneta scritturale ed era uno standard per definire i tassi di cambio che erano di fatto già un po' fissi (SME) ma riaggiustabili con il meccanismo del riallineamento. Molti svalutarono e quindi molti rivalutarono. La Germania riallineò sei volte, l’Italia quattro.

In questo contesto di moneta unica assumono una decisiva importanza le riforme strutturali, la Germania ad esempio dal 2002 al 2004 fece delle riforme (Hartz) di precarizzazione del lavoro riducendo la quota salari nello stesso periodo del 7%. L'istituzione dei minjobs a 450 € al mese ha fatto si che il governo tedesco contribuisse di spesa pubblica a fini sociali per il raggiungimento di un salario dignitoso fino a circa 1000-1200 €/mese, sforando i parametri sul deficit di Maastricht, fregandosene delle regole europee senza che nessun altro Paese protestasse. Ha fatto i propri interessi. L’Italia no e continua a non farli.

Noi italiani (non tutti) abbiamo perso il senso della nostra dignità e il senso del nostro ruolo nel processo di integrazione europeo, abbiamo perso il senso di cosa significa essere padroni della nostra politica economica.

Perché?

La stagione della grande corruzione '92 è stata vissuta nell'immaginario collettivo italiano come la dimostrazione del fatto che noi italiani siamo degli esseri inferiori, che quello fosse l'unico problema (autodenigrazione) che, per essere risolto, avremmo comunque avuto bisogno di regole esterne, l'adozione di un cambio fisso e dei parametri economici dell'UE sarebbero state le regole esterne che ci avrebbero moralizzato.

Ma ancora i dati della Banca Mondiale sulla corruzione smentiscono ciò, esiste una correlazione positiva diretta tra la riforma del titolo V della Costituzione e il principio di sussidiarietà, ispirati dai trattati europei, con l'aumento della corruzione.

L'Italia si doveva imprigionare in una gabbia che le impedisse di competere, le élite italiane hanno accettato questo progetto con atteggiamento predatorio verso i propri concittadini, in assenza di responsabilità verso gli altri ma solo verso sé stessa (liberismo) ha assecondato e asseconda le teorie dei predatori esterni, ci siamo fatti riservare per 30 anni il trattamento che il potere del capitale riserva ai paesi in via di sviluppo o emergenti che vanno sottomessi, con i relativi format economico e quello socio-mediatico che recitano all’unisono: la classe politica è tutta corrotta, siamo capaci solo di clientelismo, tutto ciò che è pubblico è spreco, inefficienza, improduttivo.

In questa maniera, purtroppo, siamo scivolati in ciò che ci dicevano fossimo, ma non lo eravamo (self fulfilled prophecy).

Risultato: crisi insostenibile.

Abbiamo barattato la rigidità del cambio con una quasi totale flessibilità del lavoro a partire dal pacchetto Treu (che precede di 5 anni Hartz).

L'Italia ha una forte vocazione all'export di prodotti generati da una solida industria di trasformazione perché è costretta a importare materie prime che non ha in natura disponibili.

In un contesto simile avere un tasso di cambio fisso la penalizza oltremodo nei confronti delle nazioni più forti che adottano la stessa valuta, la domanda crolla, fai crollare anche le imprese, e quindi la loro propensione ad innovare, a valle di questo diminuiscono i ricavi, e diminuiscono i costi perché flessibilizzi il mercato del lavoro.

Tuttavia in un substrato industriale come quello italiano basato sulla piccola-media impresa flessibilizzare il lavoro serve a ben poco. Il piccolo imprenditore protegge le maestranze, le fa' crescere con sé, dunque non ha senso flessibilizzarle. La flessibilità ha distrutto la produttività inducendo l'insensata ricerca del costo minore, insensata nei confronti del sistema produttivo e della relativa formazione delle maestranze. Ma la flessibilità serve al terziario, non quello arretrato, non la finanza, ma quello del commercio, dei servizi. Ad esempio la privatizzazione del 95 dei supermercati (grande impresa estera) li fa' diventare francesi, arriva nel '97 Treu, e gli garantisce facilità di sostituzione del personale a costi sempre più bassi.

1° conseguenza: se crolla la domanda interna sei costretto a inseguire la domanda estera e quindi devi aumentare la tua vocazione all'esportazione, più di quanto lo dovevi essere naturalmente. Si va in concorrenza con la Cina, per lottare (senza poter vincere) massacri i tuoi lavoratori, attui austerità, deflazione.

2° conseguenza nessuno rientra nei limiti. con l'austerità il debito/PIL (dal 107%) è risalito toccando il 133%, perché il denominatore è sceso, mentre l'alto debito privato rimane stabile. 

L'austerità viene dunque fatta per accontentare i creditori esteri, si taglia la spesa pubblica che è un reddito privato, quindi si taglia il reddito privato, come conseguenza diminuisce il gettito delle imposte, nel bilancio pubblico hai meno uscite e hai meno entrate, però siccome hai meno reddito (denominatore) in giro il rapporto debito-reddito (PIL) aumenta.

Altro aspetto: tagli la spesa pubblica che è un reddito privato, quindi tagli il reddito privato di conseguenza consumi di meno quindi fai meno importazioni, la bilancia commerciale torna positiva o, meglio, lo sbilancio con l'estero si riduce.

Monti ha ridotto il saldo delle partite correnti di 5 punti di PIL e ha ridotto l'indebitamento pubblico di solo un punto e mezzo.

Conclusione: L'austerità viene fatta per accontentare i creditori esteri.

L'austerità è l'iperbole capitalista di un capitalismo che ha smesso di funzionare come tale.




Fonti:
Il Tramonto dell'Euro - Alberto Bagnai - Imprimatur Editore

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