mercoledì 29 gennaio 2014

Un rimedio alla crisi: la Costituzione italiana


In questo post prosecuzione ideale dei precedenti, sempre in maniera soft, vorrei provare ad aggiungere ulteriori spunti di riflessione sull'attuale situazione economica che viviamo provando ad inserire qualche elemento storico-giuridico-sociale che aiuti ad inquadrare meglio lo scenario.


Abbiamo detto dello scontro impari tra i fattori capitale e lavoro, il capitale vince perché molto più mobile del fattore lavoro, non solo, il capitale è concentrato in percentuali minime della popolazione, queste hanno il potere di dirigere o cooptare le classi dirigenti elette democraticamente (?) dai popoli. I ricchi fanno le regole che gli convengono e tendono a indirizzare la storia su traiettorie a loro più favorevoli e se non vi riescono appieno è solo per brevi periodi (ricostruzione II dopoguerra).

Quando comincia la riscossa del capitalismo mercantilista nella storia recente?

In effetti bisognerebbe parlare di regolamento di conti più che di riscossa.

In Europa con circa dieci anni di ritardo rispetto agli USA il divario tra profitti crescenti e salario reale si allarga a partire dagli anni ottanta, la quota salari diventa stagnante, il capitale comincia la riscossa.

In quel periodo dall'Inghilterra si diffonde in tutta Europa il relativo e purtroppo convincente grido egoistico.

Io ero un ragazzo e me la ricordo bene, Margaret Tatcher, la percepivo brutta e antipatica, solo dopo qualche anno, studiando, l'ho scoperta anche come paladina del neoliberismo.
Che diceva la Tatcher?  "There is no alternative".

Questa frase, mediaticamente sempre riportata con l'acronimo T.I.N.A., fissa un paradigma che trascendeva la capacità di giudizio dei cittadini.

Essi subiscono per definizione un processo deliberativo che eccede le loro capacità o anche la loro legittimazione morale.

Il non c'è alternativa alla traiettoria politico-economica imposta dalla iron lady contiene in sé il "voi non potete capirla", "ve lo diciamo noi che comandiamo".

Voi non potete capire è l'altra faccia del "voi siete colpevoli" di qualcosa, siete pigri, improduttivi, spreconi avete vissuto al di sopra dei vostri mezzi.

Oggi a distanza di oltre trent'anni non esiste un italiano medio che non sostenga questa tesi. Il segno della sconfitta culturale a cui cerco di oppormi con le parole di questo modesto blog.

T.I.N.A. è il fluidificante ma anche il propellente della crisi economica che, per chi prende le decisioni, cioè il potere, non è affatto una crisi del capitalismo, ad esempio si altera il funzionamento dello stesso sostenendo tesi attualmente applicate nel nostro Paese per le quali per poter diminuire le tasse bisogna diminuire la spesa pubblica.

Il capitalismo invece ci insegna che questo è un buon modo per fallire.

Ma bisogna ridurre il perimetro dello Stato, l'unico baluardo contro l'irrefrenabile e irresponsabile (per i popoli) circolazione del capitale.

Tuttavia la nostra Costituzione delinea un modello di funzionamento dello Stato:  interventista con banca centrale flessibile perché soggetto all’indirizzo del Governo, la B.C. è infatti un ente ausiliario dello Stato, niente di più.

I giuristi ci spiegano che la Costituzione italiana è basata su un concetto di sovranità che è quello democratico “necessitato”.

Non è concepita quindi un’astratta sovranità, come potere di supremazia dell’organizzazione dello Stato sui cittadini, essa è invece concepita sul fatto che possano essere perseguiti e garantiti i diritti fondamentali, tra cui il primo è il diritto del lavoro (art.1 e 4).

D'altro canto il liberismo è l’ideologia che declina la libertà individuale nell’egoismo.

Il liberismo diventa ordoliberimo e cioè l'impadronimento delle istituzioni democratiche per invertire il senso della loro azione, le istituzioni si chiamano come prima ma, dopo un’operazione cosmetica, tutto quello che fanno è l’opposto di quello che prescrive la Costituzione.

La Costituzione ci dice che le istituzioni devono garantire la piena occupazione, il lavoro non è merce ma dignità umana.

Ora, manifestando questi concetti in ambienti tra i più disparati tra loro, l'obiezione più popolare che ho ricevuto è che il problema del lavoro c'è perché non riusciamo a competere, "c’è la globalizzazione", c'è la Cina, il Brasile.......e altre amenità.

C'è da comprendere invece che la globalizzazione non è un fenomeno naturale, non è lo sviluppo naturale della tecnologia e del capitalismo, non c’è nessuna correlazione con ciò, essa invece al contrario fa’ deperire la ricchezza delle fonti di produzione tecnologica.

La globalizzazione è un fatto istituzionale e come tale è deciso da uomini che hanno responsabilità politica, è l’estensione del liberismo al mercato degli scambi commerciali e dei capitali, è un modo in cui viene riplasmata a posteriori la produzione, infatti dove vanno i capitali la produzione viene incrementata così come la qualità vita delle persone in quell’area viene migliorata.

E’ anche un modo in cui vengono regolati gli scambi, infatti l’effetto finale di ciò è che chi ha il potere di decidere la riallocazione dei capitali determina cosa e quanto produce chiunque altro.

C’è quindi una posizione di potere e una di assoggettamento.

Essa viene perseguita attraverso accordi internazionali che strutturano e cristallizzano le posizioni di forza (giuridificazione). Se ho un trattato internazionale che istituisce un organizzazione internazionale avrò creato una sociologia della forza, tutte le organizzazioni internazionali che nascono con l’idea di regolare l’economia lo fanno al fine di liberalizzarla (FMI, WB, WTO) fissando le posizioni di forza.

Gli schemi che sono applicati sono sempre schemi di condizionalità, è un format: la domanda crollerà ma calerà anche l’inflazione in questa maniera saranno tutelati i creditori esteri.

Noi ci troviamo in questa situazione. Come se ne viene fuori?

Una risposta è il recupero del modello costituzionale. 

Certo, anche la Costituzione è oggetto della stessa manipolazione realizzata o potenziale: devolution, numero dei parlamentari, semi-presidenzialismo, legge elettorale.

Ma non abbiamo bisogno di altro.

La Repubblica democratica fondata sul lavoro.

La Repubblica garantisce l’effettività del diritto del lavoro.



Fonti
Oltre l'Euro: Luciano Barra Caracciolo - Chianciano 12 gennaio 2014


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